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Il paracadute dello step in right in caso di inadempienza
Claudio F. Fava
L’importanza del Project Financing sta cominciando a dare i suoi primi segni tangibili non solo nell’area infrastrutturale ma anche in quella immobiliare specializzata, come Ospedali, Scuole, Caserme, Parcheggi e Cimiteri rilevati puntualmente dell’Unità di Finanza e Progetto istituita presso il Ministero dell’Economia, con un report che indica un incremento del 70% in più nel 2004 rispetto al corrispondente anno 2003. (12,6 miliardi di Euro contro 8,3 miliardi. Fonte: Osservatorio Nazionale Project Financing elaborazione CRESME per AeT) .
Nel mese di marzo 2005 le iniziative in Project Financing hanno registrato nel primo trimestre un incremento del 100% sul corrispondente trimestre 2004 segnalando 157 opere per oltre 2 miliardi di Euro.
Le infrastrutture ed il Nord d’Italia, tanto per cambiare, fanno la parte del leone ma finalmente turismo, servizi e sanità, così come nel Lazio, in Sicilia, Campania e Puglia si fanno notare per vivacità: basti pensare che le due maggiori opere del mese di marzo 2005, sono il nuovo Ospedale dei Castelli Romani ed i parcheggi pubblici coperti di Catania. In totale due sole opere per circa 230 milioni di euro di investimento. Ponte sullo stretto a parte, naturalmente che a causa del ritardo deciso dalla Società promotrice per la scelta dell’Advisor del Project Management si posizionerà a maggio dello stesso anno.
La norme della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cosiddetti “legge obiettivo” e, prima ancora la legge quadro (11 febbraio 1994, n. 109) hanno indicato alcuni criteri , ma non tutti, delle varie situazioni che si possono prospettare all’interno della catena del Project Financing, ma l’esperienza che deriva dall’impatto della realtà sta evidenziando ulteriori aspetti spesso gravi, spesso nuovi, spesso di difficile soluzione che necessitano di essere regolati da un Istituto che aiuti la procedura realizzativa degli investimenti come una Authority.
In particolare va sottolineato che soprattutto per Project Financing di grandi dimensioni, oltre alla sicurezza durante la costruzione e dopo, in corso d’esercizio, oltre ai problemi assicurativi diversi da caso a caso, vi è anche un altro aspetto da valutare con attenzione:
chi fa e che cosa in caso di interruzione dell’opera per motivi interni o esterni al contratto BOOT (Built- Own Operate and Transfer)?
La disciplina dello “STEP IN RIGHT” è indicata dal legislatore ma non sufficiente.
Riteniamo utile fare ancora una volta una riflessione particolare per evidenziare la necessità di maggiore coerenza tra gli interessi della Pubblica Amministrazione, i Promotori ed i Gestori.
STEP IN RIGHT O DIRITTO DI SUBENTRO
Con l’art.37 octies della Legge Quadro n.109/94 (legge Merloni), in applicazione delle modifiche normative successivamente apportate dalla Legge 18/11/98 n.415 (Merloni ter)e dalla Legge n.166/02 (collegato infrastrutture, Merloni-quater) ha fatto il suo ingresso, nella legislazione italiana, il diritto di step-in right o diritto di subentro. Con tale strumento il legislatore ha ritenuto opportuno affiancare, nelle operazioni di finanza di progetto, alle ormai canoniche clausole di garanzia, ulteriori difese agli interessi dei finanziatori.
Naturalmente una cosa è l’opera ingegneristica tout-court, altra la realizzazione di immobili destinati a servizi privati di interesse pubblico. Qui entriamo nel campo del Project- Financing “caldo”, “tiepido” o “freddo”, a seconda dell’assenza di contributo pubblico in conto capitale, della contribuzione parziale o della totalità dell’erogazione. E’ evidente che nel caso di Immobili un risvolto di interesse di mercato di fine periodo rende più appealing l’intervento. Se non altro perché, a momento debito si potrà cartolarizzare.
Il progetto si basa sulla vis-actrativa che genera nei finanziatori ma è evidente che, siffatte operazioni, presentando un livello di rischio estremamente elevato,vadano attentamente vagliate allo scopo di ricorrere, preventivamente, a tutte le forme di garanzia immaginabili. Si sa che una parte determinante di ogni progetto di finanza è il cosiddetto “security package” il quale prevede, tra l’altro, forme contrattuali che, garantendo l’esatta attuazione del progetto, finiscono con il garantire il rimborso del debito. Tali garanzie, comunque, risultano, per ampie che siano, sempre inferiori ai rischi effettivi per cui, a rafforzare le stesse, è stato introdotto, anche in Italia, l’istituto dello step in right, già da tempo utilizzato nella prassi anglosassone che prevede, al verificarsi di determinate circostanze, il subentro dei finanziatori nella gestione del progetto stesso. Può accadere, infatti, che nell’esecuzione del progetto la società preposta incappi in forme più o meno gravi di inadempienze, scaturite generalmente da difficoltà finanziarie tali da inficiare la riuscita dell’operazione.
La prassi anglosassone prevede, proprio in siffatte evenienze, che i finanziatori, escutendo il pegno sulle azioni, si approprino del diritto di voto e procedano all’immediata sostituzione del vecchio consiglio di amministrazione. In alternativa, gli stessi potrebbero affidare a terzi l’incarico di portare a termine il progetto. Mentre nei casi più gravi, come quello del fallimento, rappresentando i finanziatori la parte preponderante della massa passiva, lo step in right verrà attuato, nella generalità dei casi, in base ad un accordo fra i finanziatori stessi e la curatela. Tale accordo potrà prevedere l’affidamento dell’esecuzione ad un nuovo gestore il quale subentrerà in tutti i project agreements, ossia la ragnatela contrattuale originariamente prevista.
LA TUTELA DEI FINANZIATORI
A differenza della prassi anglosassone, in Italia la procedura di subentro è prevista solo per progetti riguardanti lavori od opere pubbliche e la sua attuazione è prevista solo qualora ci si trovi di fronte ad inadempienze della società di progetto tali da comportare la risoluzione del contratto di concessione. Ma la risoluzione, che comprometterebbe notevolmente gli interesse dei finanziatori, può essere evitata dagli stessi designando una nuova società che si surroghi all’originaria concessionaria. Tale designazione dovrà avvenire “ entro 90 giorni dal ricevimento della comunicazione scritta da parte del concedente dell’intezione di risolvere il rapporto”. Si evince, così, che lo step in right non opera automaticamente ma solo su richiesta dei finanziatori; richiesta, tra l’altro, subordinata all’accettazione dell’amministrazione concedente. Quest’ultima dovrà verificare la sussistenza di due condizioni fondamentali per l’effettiva operatività dello step in right: la prima è che la società “designata dai finanziatori abbia caratteristiche tecniche e finanziarie sostanzialmente equivalenti a quelle possedute dal concessionario all’epoca dell’affidamento della concessione”. La seconda è che vengano eliminate le cause di inadempimento che avrebbero determinato la risoluzione, entro un termine di 90 giorni successivi alla scadenza del termine di designazione o in un tempo più ampio eventualmente concordato tra finanziatori e Amministrazione concedente (art.37-octies primo comma). Viene rimessa, poi, al Ministro dei lavori pubblici, la competenza a stabilire i criteri e le modalità di attuazione dello step in right con proprio decreto (art.37-octies secondo comma).
Da quanto detto si evince, a nostro avviso, ancora una certa rigidità nella previsione normativa italiana dello step in right considerato che il suo esercizio, presupponendo la costituzione di una nuova società, esclude altre modalità, come quelle previste nello step in right anglosassone, più flessibili e meno onerose per i finanziatori. In secondo luogo, la sottoposizione della designazione della nuova società all’accettazione dell’Amministrazione concedente, nel rispetto delle condizioni sopra descritte, ci sembra non garantisca ipso iure il diritto di subentro.
RISOLUZIONE PER COLPA DELL’AMMINISTRAZIONE
Ma c’è un altro aspetto che potrebbe “frenare” i finanziatori ed è quello legato all’ipotesi di risoluzione del rapporto concessorio per inadempimento della stessa Amministrazione concedente o, nell’ipotesi più grave, di revoca della concessione stessa per motivi di pubblico interesse (art. 37-septies).
E’ naturale che in caso di immobili anziché infrastrutture, le soluzioni sono maggiori per la duttilità del manufatto, comunque occorre analizzare tutte le possibilità.
In tali ipotesi, secondo il disposto normativo del primo comma dell’art.37-septies della legge n. 109/1994, l’Amministrazione concedente ed inadempiente può recedere dal contratto rimborsando al concessionario:
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a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;
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b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;
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c) un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10 % del valore delle opere ancora da eseguire, ovvero della parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del piano economico-finanziario.
A salvaguardia degli interessi del finanziatori il concessionario non potrà disporre di tali somme fino a che non vengano soddisfatti i crediti dei finanziatori stessi (art. 37-septies, comma secondo). Inoltre, fino a quando il concessionario non avrà ricevuto tutte le somme dovutegli, la revoca della concessione non potrà produrre i suoi effetti (art. 37-septies terzo comma).
Risulta evidente, a questo punto, quanto sia diversa la ratio dei due istituti:
- la revoca mira, infatti, ad eliminare un atto non più rispondente alle mutate esigenze pubbliche ed attraverso il quale si estrinseca un’attività lecita della Pubblica Amministrazione;
- la risoluzione per inadempimento, invece, mira ad eliminare un atto viziato nel suo sinallagma funzionale per il verificarsi di un’azione illecita, dolosa o colposa, della stessa Amministrazione.
Di conseguenza, nell’ipotesi di revoca l’accordo contrattuale che costituisce il presupposto della concessione, non costituirà più un vincolo per la Pubblica Amministrazione che potrà o recedere dal contratto o non adempierlo senza, per questo, essere obbligata al risarcimento del danno se non nei limiti di un indennizzo come forma di ristoro patrimoniale.
Nell’ipotesi di risoluzione, invece, l’inadempimento obbliga la Pubblica Amministrazione a risarcire non solo il danno emergente ma anche il lucro cessante, (ovvero il mancato guadagno che la società di progetto avrebbe ottenuto se non si fosse verificata la risoluzione), per cui, sulla base di tali considerazioni, si ritiene impropria, almeno da un punto di vista terminologico, l’espressione alla lettera c) dell’articolo 37-septies laddove ci si riferisce ad “..un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno…”e sembrerebbe poi, che nella sostanza, esso si riferisca solo all’ipotesi di revoca e non anche della risoluzione contraddicendo al significato giuridico degli stessi istituti; in più la lettera b) del citato articolo fa espresso richiamo a penali e costi “ in conseguenza della risoluzione” e non anche, quindi, dell’ipotesi di revoca. Così, l’intento del legislatore, di garantire i finanziatori con la previsione, nel comma secondo, di una prioritaria soddisfazione dei loro crediti, finisce per essere smorzato non solo dall’esiguità delle penali, risarcimenti ed indennizzi, ma anche, e soprattutto, dall’incertezza dell’inquadramento giuridico degli istituti menzionati.
CONCLUSIONI
Riteniamo interessante ribadire la diversa gamma di soluzioni a favore dell’investimento rappresentato da un immobile, sia ospedale che casa di riposo, caserma, scuola, parcheggio a pagamento o cimitero. Altresì è evidente che l’apparente incoerenza di alcuni strumenti legislativi è determinata dalla novità della materia.
Il raffronto fra le proposte e le adesioni da parte di promotori, così come evidenziato da Infrastrutture S.p.A., la Holding pubblica presieduta dal Prof. Andrea Monorchio, è ancora insufficiente rispetto alle aspettative delle amministrazioni pubbliche.
Non a caso la volontà di chi partorisce l’idea è esplicative rispetto alle possibilità di sopravvenuta determinazione del caso di step in right: i privati preferiranno sempre la versatilità di un partneriato relativo alla realizzazione di un immobile rispetto a quello di un’infrastruttura.
Per questo motivo vi sono continue modifiche che si traducono spesso in aggiornamenti legislativi come quelle indicate dalla riforma organica della procedura di finanza di (progetto di legge S 3320, all’esame della Commissione lavori pubblici del Senato) che adatta la legge quadro alle esperienze del primo triennio.
Ciò non toglie comunque che la sostituzione, soprattutto per appalti importanti, del costruttore gestore incide globalmente su aree molto diverse tra di loro a secondo dell’ambiente ove l’opera è in fase di realizzazione.
Per grandi opere, a questo punto è fortemente auspicabile l’istituzione di una Authority dedicata , che indichi la strada ai promotori e la semplifichi ai giuristi.
LE NOVITÀ DELLA COMUNITARIA 2004
Quantunque estremamente singhiozzante e affannoso, il percorso di adeguamento della normativa italiana alla pratica del project financing continua il suo inarrestabile restyling.
La recente legge 18 aprile 2005 n.62 introduce, infatti, nell’art. 24, comma 9, un’importante integrazione all’articolo 37 bis, comma 2 bis, della legge Quadro 11 febbraio 1994 n.109 in materia di lavori pubblici, laddove viene stabilito che l’autorità aggiudicatrice è tenuta ad indicare espressamente, nell’avviso dei Programmi Triennali di lavori pubblici “…il diritto a favore del promotore ad essere preferito ai soggetti previsti dall’articolo 31-quater, comma 1, lett. b), ove lo stesso intenda adeguare il proprio progetto alle offerte economicamente più vantaggiose…”.
Si tratta, in sostanza, di un diritto di prelazione già noto agli addetti ai lavori e richiamato nell’art. 37 ter della legge n.109/1994. Ma, allora, che cosa cambia? Dov’è la novità?
Nella precedente struttura normativa, il diritto di prelazione all’aggiudicazione della concessione poteva essere esercitato soltanto in un momento successivo alla gara a base della quale era stata posta la proposta del promotore. Infatti, qualora, in sede di gara, venivano presentate proposte economicamente più convenienti, era necessaria l’apertura di una fase di negoziazione, ovvero di trattativa tra l’Amministrazione aggiudicatrice, il promotore e i due (eventuali) soggetti che avevano presentato le due migliori offerte. Era solo in tale sede che il promotore avrebbe potuto esercitare il diritto di prelazione, procedendo ad un adeguamento della propria proposta a quella economicamente più vantaggiosa.
La modifica all’art. 37-bis comma 2-bis della legge n.109/1994, anticipa, per così dire, l’applicazione del diritto di prelazione (nell’aggiudicazione della concessione), che potrebbe essere esercitato, così, già in fase di gara e semprechè il promotore eserciti la facoltà di adeguare la propria proposta a quella ritenuta economicamente più vantaggiosa.
Tuttavia, la nuova normativa risulta ancora monca, poiché la facoltà citata può essere esercitata dal promotore a condizione che la suddetta venga prevista espressamente nell’avviso del Programma Triennale di lavori pubblici secondo le modalità stabilite all’art. 80 del Regolamento (D.P.R. 21 dicembre 1999 n.554). Ciò implica che, qualora l’avviso segua modalità diverse verrebbe a cadere di fatto la facoltà di adeguamento e di modifica del progetto presentato dal promotore e, quindi, anche l’esercizio del diritto di prelazione in via anticipata. Tra l’altro non è data possibilità al promotore di pubblicare, a proprie spese l’omesso avviso (secondo le modalità del Regolamento) così come era stato suggerito e previsto dal disegno di legge presentato dal Governo il 23/03/2005.
Permane ancora, pertanto, una certa e alquanto rilevante discrezionalità della Pubblica Amministrazione e una scarsa possibilità per il promotore di attivarsi, sostituendosi all’Amministrazione nell’adempimento dell’obbligo dell’avviso nella fase prenegoziata.
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