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SPECCHIO ECONOMICO |
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Project financing Perché non creare un Ministero di CLAUDIO F. FAVA A quasi una dozzina di anni dall’istituzione, avvenuta con la legge 109 dell’11 febbraio 1994, del project financing o finanza di progetto, e a quattro dalla legge 443 del 21 dicembre 2001 conosciuta come «legge obiettivo», la nuova formula che prevede la partecipazione di capitali privati alla spesa per la realizzazione di opere pubbliche è ben lungi dal decollare. Anziché spronare i privati a partecipare al superamento del gap infrastrutturale del Paese, centinaia di norme, di modifiche, di risvolti e di appendici ne hanno complicato e ritardato l’applicazione producendo molto meno di quanto ci si attendeva: è questa l’amara constatazione compiuta dalla stessa società Infrastrutture, presieduta dall’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. Per quali motivi? E quale aiuto potrebbe fornire la creazione di un Ministero per l’Energia alternativa, da realizzarsi con il ricorso alla finanza di progetto? Lo sviluppo della formula PPP – partenariato pubblico-privato -, va esaminato sotto un rilevante numero di aspetti inquadrati in un contesto politico ed economico internazionale, prima ancora che nazionale. Innanzitutto perché oggi le aziende italiane vanno a produrre all’estero per vari motivi e sarebbe riduttivo affermare che lo fanno solo per i bassi costi della manodopera. Le aziende non vanno in Cina per acquisire il mercato cinese ma di fatto vi creano quell’occupazione di massa che sognano i sindacati in Italia. Gli imprenditori vanno a fare quello che «capiscono»; poi, dato che mettono in gioco il futuro di propri capitali, famiglie, tecnici, patrimoni loro affidati, vi creano una struttura produttiva in base a pochi ma fondamentali principi. Il primo è il vantaggio economico competitivo, il secondo la semplicità delle regole di accesso al mercato. E in tanti Paesi che sono dietro e fra poco saranno di fianco a noi, le domande di chi investe sono chiare: cosa debbo fare per insediarvi una unità produttiva? Quante tasse debbo pagare? Quali aiuti sono previsti? Con quattro viaggi in Cina Roberto Colaninno sta realizzando una società per acquisire il 25 per cento del potenziale di vendita delle due ruote previsto nel mercato cinese nei prossimi 50 anni, un mercato di oltre 15 miliardi di euro. A dar retta alle tv nazionali sembra che gli italiani abbiano scoperto la Cina quando l’allora ministro delle Attività produttive Antonio Marzano e il presidente della Confindustria Luca di Montezemolo vi sono andati in missione nei mesi scorsi; come se Marco Polo fosse stato peruviano. Ma il problema del project financing del quale si lamenta anche Monorchio, grande conoscitore dei meccanismi di controllo della spesa pubblica, non è e non può essere avulso dal grande cancro che avanza, tra le cose buone, dal Governo dell’Europa: l’eccesso di norme. Nell’ultima osservazione al Libro verde dell’Unione europea del luglio scorso, anche in seguito all’ottimo rapporto Mc Creeny sulla consultazione relativa al PPP, emergono incongruenze, alcune inevitabili, altre dipendenti dall’abitudine del nostro apparato di studiosi nella Pubblica Amministrazione - e quindi nelle Istituzioni -, di prevedere tutto, sapere molto, avere esperienza di poco. Globalizzazione e allargamento dell’Europa, deregulation del commercio internazionale e devolution interna costituiscono una trappola nella quale stiamo cadendo da soli. Troppe norme per il project financing: europee, nazionali, regionali, di settore; troppe contraddizioni tra Consiglio di Stato, Corte dei conti, Tar, Tribunale ordinario, Corte costituzionale. Quando mai un progetto in project financing può partire? Fra 5 o 10 anni? Quale Governo, Provincia o Regione vedrà di chi è la responsabilità di un insuccesso? Occorre semplificare le procedure non riducendo i controlli ma evitando il rischio di dover cambiare il cavallo in corsa, ossia i finanziatori dell’opera, per inadempimento contrattuale. Occorre adeguare questo grande strumento di coinvolgimento del capitale privato nell’opera economica con risvolti di interesse sociale; uno strumento ormai maturo avendo 5 anni alle spalle. Facciamo investire di più, chiediamo di semplificare le linee guida del project financing con la proposta del privato, la messa a punto di clausole specifiche di realizzazione contrattuali e tecniche, l’eventuale aiuto finanziario - project financing tiepido - in alternativa al diritto di prelazione sul rinnovo della concessione; diamo ai concedenti, che hanno una responsabilità pubblica, il compito di giocarsi la faccia, la carriera e il consenso degli elettori nell’applicazione delle regole degli appalti in base al Codice e alle altre leggi; sfruttiamo di più in chiave propositiva e con parametri vincolanti l’Autorità garante sui lavori pubblici. Chi non vede il divario fra Europa del Nord e Mediterraneo, tra Europa e Italia del Sud, ristudi la geografia perché i confini tra aree geopolitiche, popoli, mercati, culture sono cambiati. Questo divario cresce sempre più; senza una visione moderna basata sul dialogo, sullo sviluppo intermediterraneo alimentato dal project financing internazionale, senza una comunione di obiettivi legati al Mediterraneo in quanto fonte di equilibrio comune a tutti i popoli che vi si affacciano, non sarà possibile fronteggiare isolatamente la concorrenza rappresentata da mercati mondiali come Brasile e Cina, ricchi di risorse e di manodopera a costo ultra competitivo. I primi progetti sono nati nel settore energetico nel quale, di fronte a una concessione di lungo periodo da parte dello Stato, il «promoter» o meglio la società di estrazione costruiva impianti di distribuzione di idrocarburi o centrali idroelettriche. Oggi, con il petrolio che punta verso i 100 dollari al barile, la finanza di progetto potrebbe rappresentare un enorme volano per la produzione di energie alternative. La costituzione, nell’ambito del prossimo Governo, di un apposito Ministero non sarebbe solo un segnale politico o sociale ma - attraverso micro-progetti di finanza nelle oltre 10 tipologie di fonti energetiche e rinnovabili tra le quali i «promoters» potrebbero operare specialmente se giovani imprenditori, dal Nord al Centro al Sud d’Italia -, stimolerebbe la creazione di una miriade di piccole centrali, alternative al petrolio e quindi ideali per contribuire all’alleggerimento del deficit finanziario dovuto all’importazione energetica. Ma per fare tutto ciò occorre utilizzare meglio le Autorità, semplificare le procedure, facilitare la fase propositiva dei «promoters» italiani e internazionali. Una disciplina del project financing più essenziale, più vicina al mondo reale imprenditoriale, può avere indiscutibili riflessi sull’occupazione, sull’ammodernamento delle strutture e non solo delle infrastrutture, sulla valorizzazione del patrimonio pubblico, sulle opportunità offerte ai giovani di creare imprese nel Mezzogiorno, sullo sviluppo dell’energia alternativa diffusa. |
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Ottobre 2005 Pag. 54 |
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