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Produttività
Il nuovo ruolo che assumono
le piccole e medie imprese
di CLAUDIO F. FAVA
Negli ultimi dieci anni la produttività nell’industria è diminuita in Italia mediamente dello 0,3 per cento all’anno, mentre il costo del lavoro è aumentato mediamente del 3 per cento. E questo nonostante la transumanza tecnologica dalla vecchia industria verso la nuova. Non sono bastati tre Governi diversi per impedire la perdita di competitività registrata dal Paese. La globalizzazione e l’ingresso nell’area dell’euro, con tutte le conseguenze e i fenomeni che ne sono seguiti e che si verificano tuttora a cominciare dal rapporto di cambio tra la moneta europea e il dollaro, hanno dimostrato che l’economia italiana non era preparata alle novità, e che queste, quando arrivano, anziché costituire un’occasione positiva e un’opportunità, si tramutano per essa in un problema.
Purtroppo non è la prima volta che questo accade, anzi può affermarsi che si tratta di una costante. L’Italia deve andare e sta andando inevitabilmente, e per ragioni di sopravvivenza, verso il libero mercato, ma i grandi operatori economici continuano ad attendere aiuti e privilegi dai politici e dal Governo, proprio come avveniva nella migliore tradizione consociativa della prima Repubblica. Comunque, premesso questo, va riabilitata l’incredibile capacità italica di sopravvivenza, in questo caso rappresentata dalla stragrande maggioranza dei lavoratori occupati nelle piccole e nelle medie imprese.
Oggi, giugno 2006, l’Italia si trova di nuovo dinanzi a un bivio: da un lato la produttività nelle piccole e nelle medie aziende costituisce un elemento fragile, dall’altro alcuni indicatori lasciano prevedere che con il nuovo Governo di centrosinistra si assisterà a una maggiore partecipazione del sindacato all’attuazione di politiche dirette a migliorare i processi produttivi, a rendere più efficienti le aziende, a concedere ai responsabili più ampi spazi di manovra.
Inoltre, se da un lato vi sarà l’esigenza di rientrare nei parametri economici inizialmente fissati dal Patto di stabilità firmato dai partner europei a Maastricht per ridurre il debito pubblico, dall’altro si registreranno una serie di effetti positivi. I quali consisteranno nel consolidamento del fatturato dei cantieri derivante dal partenariato tra i settori pubblico e privato e dalle operazioni di project financing; nel miglioramento del rapporto di cambio tra l’euro e il dollaro; nell’incremento della capacità di produzione di energia prevista in Italia a partire dal 2008 e nel conseguente ridisegno della politica energetica italiana in campo internazionale; nello sviluppo dell’internazionalizzazione da parte delle piccole e delle medie imprese; nella conquista, pure da parte di queste, di nuove quote di mercato nei Paesi asiatici.
Le piccole e medie imprese costituiranno il volano dello sviluppo del Paese, ma dovranno essere fortemente incentivate. Tra le imprese che hanno trasferito all’estero la produzione e quindi gli occupati, esse rappresentano una quota pari solo al 7,6 per cento degli occupati, ossia hanno impiegato all’estero solo 8 unità lavorative su 100. Ma esportare per ora continua ad essere una prerogativa delle grandi aziende, nonostante il fatto che le piccole imprese rappresentino il 90 per cento degli occupati in Italia e che il valore aggiunto più elevato si concentri proprio in quelle che contano sui 50 dipendenti.
Tutto cambierà se saremo in grado di far crescere piccole e medie imprese intelligenti, innalzando l’attuale livello di occupazione media delle aziende italiane. Se ciò avverrà, sarà anche merito della globalizzazione, pur nella contraddizione in atto tra libero mercato e politica di sussidi alle fasce deboli; ma sarà merito soprattutto dell’informazione che abbatte spesso quei tempi di apprendimento di nuove tecniche, di nuove teorie, di nuove tipologie di analisi, che hanno pesato molto, tra il 1940 e il 1980, sui bilanci delle grandi aziende.
Edward De Bono, ideatore delle tecniche del pensiero laterale come creazione del pensiero futuro, ha evidenziato l’importanza dell’uomo dovuta alle potenzialità del cervello. Il cervello analizza, ma l’uomo, in base alla propria esperienza e alla propria anima, decide. La sua «Teoria dei sei cappelli» è significativa, semplice, rivoluzionaria e democratica. Non è dedicata, infatti, alle grandi multinazionali, ma a destinatari anche piccoli, anche dei Paesi emergenti, anche appartenenti a quei 4 miliardi di persone che vivono con meno del 20 per cento della ricchezza prodotta nel pianeta.
Quindi le idee, più la globalizzazione, più la cultura, più la valorizzazione delle capacità individuali, costituiscono molto più di ciò che occorre per sconfiggere il mito del posto fisso, in un mondo dove di fisso non c’è quasi più niente, neanche i principi, neanche le risorse. Si sta sviluppando il sistema dei network, delle reti professionali, sanitarie, di servizi, di produzione, di cultura. Tutto ciò avrà un senso? Io ritengo di sì, e penso che i nuovi imprenditori saranno i grandi protagonisti del recupero della produttività del nostro Paese. E naturalmente non saranno imprenditori con grandi imprese |
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