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Dobbiamo guardare al lungo termine
L'Italia ha bisogno
dell'ATOMO
per sopravvivere.
Bisogna abbandonare la politica lobbistica di lacci
e lacciuoli che impediscono al Paese di scegliere
con perizia le nuove strategie energetiche per il futuro.
di CLAUDIO F. FAVA
La grande sensibilità mostrata da molti governi del mondo e da tutti quelli europei verso i nuovi problemi dell’energia è un fatto positivo.
In passato, prima ancora dell’esplosione dell’estrazione del gas, dal quale l’Italia dipende per circa il 70%, il petrolio veniva misurato con le varie interpretazioni sul superamento del Picco di Hubbart, cioè il limite del superamento del 50% delle riserve mondiali di greggio, punto dal quale la civiltà occidentale avrebbe iniziato un probabile declino senza misure ferree di gestione della domanda dell’energia per lo sviluppo.
Attualmente, le scoperte di giacimenti del gas hanno in parte stabilizzato la speranza di poter continuare a perpetrare una vita lussuosa, in termini di energia, anche in assenza di materie prime tradizionali.
In mezzo, il nucleare. Sicuramente a portata della tecnologia europea, più sicuro e meno inquinante di molte altre fonti di energia, al punto tale che ha convertito in circa 20 anni o poco più tutti i “combattenti” ex sessantottini che, sotto la spinta emozionale di Cernobyl, avevano ritenuto di spingere il Governo dell’epoca a rinunciare alla costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano, visti i risultati referendari.
I convertiti sono ora bi-partizan, anche tri-partizan ma soprattutto in Italia di fatto siamo circondati da centrali nucleari a distanze insignificanti per quanto riguarda la pericolosità di eventuali disastri non controllabili, statisticamente possibili ma tecnologicamente più improbabili grazie soprattutto all’industria francese.
Nel frattempo in Italia compriamo l’energia nucleare dai nostri vicini (oltre il 15% del fabbisogno), pagando un prezzo doppio di quello che costerebbe alle aziende italiane in Italia, senza avere minimamente scansato un pericolo di contaminazione potenziale.
Anzi arricchendo i conti economici di aziende straniere che adeguano il prezzo di vendita al mercato di borsa italiano: il più caro del mondo.
E allora dov’è la soluzione, cosa dobbiamo fare per creare una cultura, fare un scelta, con quali piani affrontare il futuro?
Lo sviluppo delle biomasse, dell’eolico e del solare, l’articolata posizione di insufficienza delle infrastrutture e l’abbandono ai singoli Stati per quanto riguarda la “mutualità europea di spalleggiamento” in caso di crisi, crea un mercato: quello dell’autonomia energetica, non più procrastinabile che può valere dal 12% di rinnovabili al 100% del consumo globale di energia del Paese (oltre 120 miliardi di euro l’anno).
Germania e Francia ad esempio hanno il 70% di produzione di energia elettrica dalla somma di nucleare e carbone, altri hanno il petrolio, ma questo non significa che, vivendo in un mondo dove la globalizzazione, come una lava vulcanica avanza e travolge lentamente ma inesorabilmente le vecchi regole, giuste -vedi la tutela del lavoro- o sbagliate -vedi la mancanza di coraggio degli investitori-, l’Italia dovrebbe, per i paesi concorrenti, diventare un mercato di “smercio”, utile da tenere in piedi, ma fino ad un certo punto!
No. L’Italia deve crescere culturalmente e ne ha le risorse, deve affrontare il problema in modo organico, sinergico e per il bene del Paese e non delle ideologie politico-partitiche che, non rispettandosi, non hanno rispetto neanche di noi, dei cittadini, delle imprese.
Basti pensare che l’Italia è uno dei pochi paesi europei che non ha un Piano Strategico per l’Energia di lungo periodo, per esempio, sino al 2030. E senza una visione, un orizzonte, ognuno si coltiva il proprio orticello, localistico, lobbistico, senza creare quello slancio culturale, di ricerca e innovazione che è alla base della riduzione del costo della produzione di qualsiasi cosa venga prodotta in Italia.
Se il 2008 fosse l’anno della definizione di un tale piano superando i problemi del coordinamento di 5 ministeri, 2 authority, 2 commissioni energia, tante associazioni di categoria, creando un nuovo mix di Fonti Rinnovabili, diversificazione infrastrutturale ed innovazione in tutti i settori tecnologici, nucleare incluso, sia sul territorio italiano che su quello limitrofo, tanto è lo stesso, diventerebbe un anno trainante per una politica di sviluppo.
Gli investitori internazionali troverebbero, insieme a quelli nazionali, finalmente un progetto di lungo periodo, che genererebbe project financing, equity, valutazioni di business nel Mediterraneo, nostra linea di confine con le sponde di ben due continenti, Africa ed Asia che non possiamo più fare a meno di considerare neo-partner socio-economici del nostro futuro.
I meccanismi di ricerca della condivisione quindi di un Piano Strategico Energetico di lungo periodo ci sono, fanno parte della democrazia: ci vuole un collante indispensabile che è rappresentato dal dialogo politico nel superiore interesse dei nostri figli.
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