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MERCATI E FINANZA

L'intervento

Risanamento Fiat a carico di chi ha sbagliato

DI CLAUDIO F. FAVA*

Il problema della Fiat sembra esploso tra le mani di tutti, politici, imprenditori e sindacalisti, all'improvviso. Ma non è così. Solo i lavoratori e le loro famiglie sospettavano qualcosa, vivendo i problemi della fabbrica di giorno in giorno e osservando il riempimento di piazzali di auto invendute, una crisi figlia della superficialità e dell'improvvisazione.

Il problema ora è così grande che, per rispetto di chi ne è vittima, verrebbe voglia di non parlarne. Ma vi sono delle responsabilità che, mentre il governo, la Gm e le banche disegnano un piano di salvataggio e speriamo di rilancio, non vanno dimenticate.

Senza orpelli o commenti demagogici l'analisi sull'attuale crisi della Fiat è la seguente:

  1. il management a partire dal 1992 non sembra essere stato all'altezza della visione strategica e dell'andamento del mercato, ivi incluse le proposte dei prodotti innovativi. La crisi in settori a tecnologia complessa cominciano almeno dieci anni prima del verificarsi delle catastrofi annunciate, e la famiglia Agnelli ha iniziato una duplice serie di azioni tendente da un lato a reperire dallo stato il massimo vantaggio possibile in termini di contributi per nuove iniziative, cassa integrazione e premi di mercato sotto forma di incentivazioni o rottamazioni, dall'altro valutare la possibilità di vendere.
  2. L'inizio delle considerazioni sulla vendita o meno del ramo auto, quindi della Fiat, ridotto opportunamente sempre più in percentuale rispetto al core business della cassaforte Ifi, ha distratto il management delle politiche di investimento nella ricerca. Perché l'azionista avrebbe dovuto investire soldi propri se l'obiettivo finale sarebbe potuto essere la vendita? In un recente articolo pubblicato sulla stampa economica si riscontra questa verità osservando che il totale dei dividendi nell'ultimo decennio è pari al totale dei contributi straordinari ottenuti dalla finanza pubblica. Gestione oculata ma certo non lungimirante. In poche parole il top management non ha avuto fiducia nel settore auto e nelle proprie capacità industriali. Sopraffatto nello stesso periodo da imprenditori più autentici - (Gm, Volkswagen, Citroén, Renault, Bmw).
  3. A seguito del fatto che la Fiat ha perso il treno definitivo non realizzando un'opportuna joint venture prima dell'entrata in vigore dell'euro con un'azienda automobilistica concorrente europea, oggi vedrà la mannaia della svalutazione patrimoniale calarsi su tutti, azionisti, impiegati, operai, e un indotto che per qualità e «strozzamento» delle condizioni imposte è più un socio dell'azienda che un fornitore.
  4. Il mercato inoltre ha fatto la sua parte. Perché no. Ma il mercato è uguale per tutti, i prodotti no. Purtroppo il management della Fiat non ha prodotto risultati proprio nel settore dove è considerato insuperabile: le trame, l'ingegneria finanziaria, gli oligopoli e le, creazioni di una nuova domanda atipica. Infatti approfittando della costituenda unità europea la Fiat avrebbe potuto sviluppare un volano ecoambientale a «misura» di trasporto, con la condivisione dei politici europei nazionali e locali di qualsiasi partito, perché l'ambiente è, fortunatamente, di moda per tutti. La mancanza di sviluppi di energia-carburante alternativa, di promozione alla circolazione delle auto elettriche, di incentivazione regolamentata di taxi e bus alimentati non solo a benzina o gasolio ma perlomeno «dual», è un segno evidente di crisi d'identità.

Qualsiasi governo avrebbe approvato con la benedizione dell'Europa un finanziamento direttamente agli utilizzatori sugli interessi per l'acquisto di autovetture e mezzi di trasporto nuovi, che la maggior parte dei concorrenti non hanno e che, pagati in un periodo più lungo di quello abituale, avrebbero cannibalizzato prodotti obsoleti senza decretare il crollo delle vendite.

Dopo questa analisi mi sembra necessario offrire risposte possibili nel campo della filosofia industriale che siano traducibili in risultati concreti. A causa della incompletezza dei dati veri individuerei poche ma indispensabili linee direttrici da osservare per rendere credibile qualsiasi piano di risanamento da parte del governo:

  1. che si decida di ripartire tecnologicamente alla conquista di settori del mercato automobilistico più moderni e adatti all'evolversi dei tempi con personale, tecnici e impianti in Italia, per non perdere la «testa»;
  2. che chiunque compri, Gm inclusa, apporti lavorazioni di altri prodotti o componenti a copertura della capacità produttiva non più necessaria sugli attuali modelli Fiat in produzione (per esempio 1 milione di ore compo­nenti contro 1 milione di ore pro­dotti);
  3. che le sinergie commerciali con un network mondiale portino Alfa, Fiat e Lancia, in ordine di mercato potenziale, ad avere una migliore penetrazione sul mercato internazionale con il quale la Fiat ha sempre avuto grossi problemi.

I costi? Beh, i costi di questa changement, a parte i benefici per nuovi investimenti, piani d'area, di formazione o altro, dovranno essere a carico di chi ha sbagliato e purtroppo di chi ha avuto fiducia in una barca con timoniere ultimamente più bravo in mare che in azienda.

Quindi si preparino gli azionisti a fare grandi sacrifici.

Certo il governo può essere di grande aiuto utilizzando forme speciali di Cig per le famiglie degli addetti al ciclo produttivo, ma con l'ottica di curare un malato e non di assistere un moribondo.

*vicepresidente della Merchant Bank CFA Group Ltd, esperto di Project Financing

   
  Sabato 19 Ottobre 2002
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