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Cavalcando la tigre della globalizzazione

Il mondo del lavoro cambierà più velocemente di quanto a molti farebbe piacere, ma la globalizzazione non impedisce a nessuno di cogliere le proprie opportunità. Bisogna preparare le giovani imprese, gli start-up e le nuove leve con la ricerca, con le reti, con l'avvicinamento della cultura mediterranea e la formazione al lavoro, con l'etica

Reti ed infrastrutture per lo sviluppo dell’Italia
di Claudio F. Fava

Accorciare la distanza tra l’analisi e l’azione strategica è di vitale importanza per qualsiasi programma sociale ed economico.
In Italia partiamo male, in quanto per tanti motivi, in passato, il collegamento tra la politica e l’impresa è stato travolto dalle diverse impostazioni sulla distribuzione dei meriti e degli oneri dello sviluppo del Paese, con in mezzo le banche….Non si è curata una “cabina di regia” di coordinamento delle pianificazioni e le decisioni delle Istituzioni e del Cipe hanno vissuto momenti alterni, evidenziando spesso alcuni protagonisti tra i rappresentanti del governo del sindacato e dell’industria, armati da un’ottica di accreditamento dei vantaggi a breve -per il Paese, naturalmente-, anziché valutare il business-change necessario per fronteggiare il problema della crescita. Il tutto in un contesto di aumento demografico dei Paesi con popolazioni povere, minacciate dall’industrializzazione senza freni dei Paesi emergenti che sta modificando profondamente le risorse del globo.
Recentemente Sergio Marchionne, pur avendo dato vari segnali di spin-off della politica industriale dalla “politica–politica”, ha detto che <<nulla sarà come prima>>.
È vero e non tutti ne tengono conto, e a volte sembra di ascoltare soluzioni per la sopravvivenza della nostra civiltà, seduti su un gozzo sorrentino piuttosto che su un canotto da rafting nelle rapide dello Zambesi. Che è esattamente ciò che stiamo attraversando in questo decennio e che dovrebbe essere la stella polare del management moderno, sia pubblico che privato.
Non c’è tempo, ci vuole maggiore competenza, vanno diffusi schemi e strumenti, che del resto ci sono, con personaggi, anch’essi esistenti, che sappiano accorciare la distanza tra l’analisi e l’azione strategica.
Ognuno dei giovani italiani, come del resto dei giovani europei, che guarda il mondo che si sviluppa e mostra i nuovi scenari ecoambientali, geopolitici ed economici, vede, legge e percepisce lo scollamento tra i vertici di politica, sindacato ed impresa, come un freno. <<Ascoltiamo argomenti interessanti, certo, ma che ora non servono>>, mi sento dire da molti studenti.
Il convegno della Confindustria di Parma in merito è stato uno show-down di interessi di parte, ognuno ha detto ciò che sente e che spesso è molto vicino a ciò che gli serve, ma non è esattamente quello che serve al Paese o meglio ai Paesi che vogliono reagire per sopravvivere innanzitutto, quindi, rafforzarsi.
Tempi di decisione rapidi, maggiore competenza, coraggio e condivisione.....Purtroppo il mondo del lavoro cambierà più velocemente di quanto a molti farebbe piacere. Ma la globalizzazione -finalmente ho pronunciato questa parola per molti sinonimo solo di problemi- non impedisce a nessuno di cogliere le proprie opportunità.
Bisogna preparare le giovani imprese, gli start-up e le nuove leve con la ricerca, con le reti, con l’avvicinamento della cultura mediterranea e la formazione al lavoro, con l’etica. Poi, ognuno potrà andare a fare impresa dove ci sarà un mercato, grazie all’incredibile capacità tecnologica del tessuto industriale ed universitario italiano, valoroso ma spesso sminuito.
Questo nuovo scenario, trend, aggiustamento, provocherà una mutazione per quel 20% di lavoratori delle grandi aziende che dovranno probabilmente cambiare lavoro nei prossimi 5 anni, ma visto che lo sappiamo già ora, non vale la pena creare programmi-programmati che riassorbano queste risorse? Aumentiamo ancora di più il numero delle aziende con meno di 10 dipendenti in Italia (che sono oltre due milioni) ma mettiamole in rete, per renderle unite, parte di un sistema.
Partiamo da ciò che abbiamo. E ciò che abbiamo è, oltre a tutto quanto abbiamo sviluppato nelle varie tecnologie industriali o del made in Italy, quello che definisco il Petrolio Bianco dell’Italia, petrolio bianco rappresentato da migliaia e migliaia di microaziende da mettere in rete, “rete” come infrastruttura avente pari dignità con quelle della telefonia, autostrade, ferrovie, gas ed energia. Una rete di garanzia della qualità, che qualifichi operatori specializzati e professionali nel “Turismo al dettaglio”, incoming diretto alle piccole realtà di bed&breakfast, agriturismo, visitatori indipendenti, qualcosa che cresca, fatto di stranieri sempre più diversificati che viaggiano volentieri in Italia, tra gli italiani, per vivere l’esperienza della nostra antica ed importante cultura. Gente che apprezza l’integrazione del turismo multifunzionale, che comprende quello musicale, artistico, storico, gastronomico, agricolo, enologico, di mostre e fiere, di manifestazioni folk, di mare, montagna ed artigianato: tutte cose che senza rete e senza formazione non renderanno appieno quanto possono.
E noi dobbiamo farle rendere e presto per potenziare il nostro avvenire, anzi, quello dei nostri giovani, liberando velocemente i vincoli alle decisioni in prossimità dell’attuazione. E formando nuove professionalità in piccole realtà, diventate “grandi” perché in rete.

   
  Maggio 2010