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Italia-Cina e globalizzazione
di Claudio F. Fava
Tutti ne parlano, anzi la temono, ma come si può definire la globalizzazione?
La globalizzazione è sempre più frequentemente definita “l’energia dei singoli mercati che tendono a diventare mercato globale”, quindi i Paesi più attrezzati ad essere competitivi, diventeranno sempre più leader, ognuno in una particolare area.
Attenzione però, il mercato globale è realizzato da migliaia, anzi milioni di segmenti, sfaccettature, situazioni particolari interne, specie se consideriamo i beni primari per la sopravvivenza dell’uomo da un lato e la tecnologia dell’informazione dall’altro.
Quindi chi sarà più svantaggiato?
Chi non sa vedere che la globalizzazione è una grande opportunità. Un’opportunità che è cultura, prima sociale e poi industriale: non si può pensare di impoverire una popolazione senza considerare che occorre lasciare ad essa la libertà di sviluppo, quindi offrire una ricchezza in cambio per poter sopravvivere.
E questo come incide nello sviluppo tra Italia e Cina, ad esempio?
La Cina è il secondo fornitore dell’Italia e l’Italia il tredicesimo fornitore della Cina: in pratica l’Italia ha una posizione migliore di tanti altri Paesi, visto che la Cina è trenta volte più grande e popolosa dell’Italia.
L’Italia, inoltre, è il baricentro del Mediterraneo, i cui popoli sono circa 900 milioni di consumatori tra Africa, Asia ed Europa ed è una nazione tecnologicamente evoluta che ha bisogno di emigrare, non con le persone, come all’inizio del secolo scorso, tra Americhe ed Australia, ma con le aziende.
La Cina, o meglio gli imprenditori cinesi possono realizzare migliaia di joint-ventures per offrire al proprio mercato interno prodotti di qualità, realizzati con cicli di produzione di qualità, design evoluto e sicurezza del lavoro, portando un grande vantaggio ai lavoratori cinesi e offrendo i prodotti che vogliono i rappresentanti del ceto medio cinese, che oggi sono 30 milioni, forse, ma che nel 2020 saranno 200-250 milioni, grazie al forte sviluppo dell’economia cinese con evidente ricaduta sull’aspetto culturale della globalizzazione. Quindi scambiare di più, conoscersi meglio ed avere sinergie da offrire, sarà determinante.
Come si può fare per raggiungere questi vantaggi reciproci, con l’attuale situazione delle Istituzioni e dei meccanismi logistici dell’informazione?
E del diritto. Non dimentichiamo che la certezza del diritto aiuta la creazione di aziende internazionali in Cina e come sappiamo c’è un grande lavoro del Governo in questa direzione. In Italia ci sono solo 15.000 aziende a maggioranza straniera su 4 milioni di Piccole e Medie Imprese, in Cina possiamo creare 150.000 joint-ventures per il mercato cinese, con ricaduta nella ricerca, formazione e finanza in Italia, così da compensare il turnover della mano d’opera.
Mano d’opera industriale?
Assolutamente no. Non possiamo avere cultura ed essere ciechi: l’assorbimento della mano d’opera in Italia contrariamente alla Cina, deve essere indirizzata, preparata, incentivata e formata verso la ricerca, il turismo, la logistica, i servizi, l’agroindustria e l’ambiente, la riconversione del patrimonio immobiliare pubblico e privato.
In Cina invece, che è ben avviata alla razionalizzazione dello sviluppo industriale, occorre realizzare un piano nazionale di salvaguardia dell’ambiente, attraverso una politica di risparmio energetico totale, perché in fondo ciò che serve ai cinesi è vivere meglio, ma far vivere sani i proprio figli.
In particolare cosa suggerisce agli imprenditori Italiani in Cina?
Agricoltura, industria mineraria e manifatturiera, con particolare attenzione alla produzione di infrastrutture legate all’energia di medio-alta tecnologia, sono gli investimenti che, nelle produzioni di scala, generano un rapido ritorno sull’investimento.
Ma ciò non fa per il sistema capitalistico italiano.
Mentre Made in Italy in tutte le sue forme, design,moda, articoli per la casa, l’ufficio, l’alimentazione, l’applicazione di processi industriali a norma come imposto dal W.T.O., l’aeronautica, la biochimica e farmaceutica, la sicurezza nel trasporto ferroviario, l’automotive, queste sono le aree dove è possibile trovare un interessante sfogo per gli investitori italiani in Cina.
E la comunità di cinesi in Italia come può partecipare allo sviluppo tra i due Paesi?
Facendo onore ai diritti umani dei lavoratori cinesi che operano in Italia e creando più imprese cooperative, più adatte al modo di lavorare dei cinesi, con l’obiettivo di mantenere la tradizione di laboriosità nel rispetto delle norme, che del resto ci sono in tutti i Paesi occidentali. Uscire allo scoperto, quindi, acquistando partecipazioni in imprese italiane ed utilizzare oltre alle banche, i vantaggi offerti dalla SIMEST, che è la Banca del Ministero dell’Economia per la promozione delle imprese Italiane e, oltre a finanziare imprese italiane all’estero, può finanziare imprese cinesi in Italia, con la legge N° 100, del 2009.
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