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Le infrastrutture fanno l'Europa
“Il futuro dell’Italia nelle mani delle Infrastrutture Globali, intercettiamo le capacità dei Paesi in via di Sviluppo”
di Claudio F. Fava
Le infrastrutture che non hanno saputo cogliere i vantaggi della legge sul Project-Financing, hanno condannato il nostro Paese ad avere un ritardo di almeno cinque anni rispetto alla tabella di marcia necessaria per competere con la globalizzazione. Cosa che non è successa in Cina dove, per effetto non solo del PIL ma di una capacità organizzativa delle decisioni politiche centrali, le cose si sono fatte e sono operative.
Anzi, rilanciando lo strumento dell’intervento privato in concessione il governo o meglio le Regioni, hanno una grande opportunità per riavviare i cantieri necessari a viabilità, porti, pipeline e fare un grande servizio al Paese, alle infrastrutture ed alla spinta necessaria per rafforzare quello che sempre più sta diventando un problema vitale nello sviluppo economico nazionale. Con tutto ciò che ne consegue sui lavoratori, sugli studenti, sulle famiglie italiane ed europee.
Ferrovie, Autostrade, reti elettriche, di gas, di acqua, di telecomunicazioni, di fibra ottica, di trasmissione via etere, digitale terrestre ed internet, hanno in Italia una storia singolare.
Sono state realizzate quasi tutte tra gli anni 20 e 60 attraverso la raccolta di denaro pubblico-tasse pagate dai nostri nonni e bisnonni; poi poi sono state privatizzate a favore di grandi lobbies e realtà economiche che hanno a loro volta emesso obbligazioni, acquistate dai nostri padri per pagare le infrastrutture privatizzate. Ed ancora successivamente, nazionalizzate, naturalmente pagate con soldi pubblici, sino ad essere come Telecom ex Sip, Autostrade, Enel, Acquedotti presto Ferrovie, quotate in borsa ed offerte al mercato. Stato in cui, molti di noi, le trovano ancora come proposta delle banche quale investimento a rischio, ma interessante.
Praticamente, in Italia vivono alcuni milioni di famiglie che, nelle varie generazioni, hanno comprato e venduto titoli delle stesse infrastrutture, fino a quattro volte!
Nel frattempo, intanto, il valore delle immobilizzazioni, cosiddetti asset strategici, è aumentato di cento o addirittura mille volte in sessanta settant’anni, a dimostrazione che l’infrastruttura è un bene irrinunciabile nell’arena nella quale si confrontano imprese ed istituzioni: il mercato dello sviluppo.
Naturalmente non è aumentato il rating del reddito delle azioni ed obbligazioni nelle stesse proporzioni di cui sopra, ma questo meccanismo è, purtroppo, una “variabile” costante non solo del nostro Paese.
Ma veniamo al Ministero delle Infrastrutture: perché non attivare con i Fondi Sovrani o, più semplicemente, Fondi controllati dallo Stato dei Paesi esteri come la Cina, per esempio una serie di Joint-Ventures per realizzare e gestire le opere che servono al Paese? Proprio la garanzia della redditività non a carico dello Stato ma del Gestore di elevato standing e credibilità, naturalmente, potrebbe essere la chiave di volta del successo dell’infiltrazione della finanza dei paesi liquidi che vogliono partecipare allo sviluppo del nostro Paese: meglio questa cultura industriale-reale che intervenire suo bond a copertura del deficit, come spesso accade.
Come ho già sottolineato nel 2010, Tremonti ed altri colleghi europei, francesi, tedeschi, polacchi e spagnoli in primis hanno costituito il Fondo MARGUERITE, un mega fondo che ho il sospetto e la speranza che diventi, pian piano, il più importante asset infrastrutturale del mondo, diventando il veicolo della nuova frontiera delle infrastrutture europee. Un MEGAFONDO nel quale potranno confluire le reti RFI, F2-I, Nabucco, South-Stream, RETE-Telecom, pipeline di petrolio, gas acqua ed energie di tutti i Paesi d’Europa.
Una gigantesca rete-ragnatela di tutto ciò che rappresenta “stabilità” per i popoli europei in termini di infrastrutture strategiche e sensibili, ovvero necessarie per avere un futuro.
Ricordate il piano Rovati-Telecom-Goldman-Presedenza del Consiglio 2006 sulla Rete Telecom? Ebbene quel piano in particolare, a mio avviso, è abortito per dilettantismo e forse un po’ di sottovalutazione delle conseguenze che una innovazione strategica così importante, se non condivisa dai “signori della politica industriale italiana”, avrebbe generato.
Ma il concetto è quello. È giusto e lungimirante. In fondo una rete dagli Urali alla Spagna così patrimonializzata, estesa, utile ai cittadini europei globalizzati, cioè senza alcuna, ripeto alcuna discriminazione, sarebbe un collante formidabile per costruire e consolidare meglio una Europa ancora non coesa, non omogenea e sempre pronta a cercare affarucci bilaterali per difendere vantaggi che si identificano più con la cultura del passato che con il futuro che ci attende.
Ed il Fondo Marguerite è senz’altro un ottima way-out per un investitore del tipo “Sovrano” che in prospettiva potrà contare su un sicuro Buyer in caso, in futuro, desiderasse sfilarsi dall’investimento. Una pura questione di lettura strategica.
A parte il fatto poi di discutere se sia giusto o sbagliato che le spese di ammodernamento infrastrutturale, debbano essere inserite tra i costi del parametro che valuta il PIL di una nazione. Del resto oggi chi ha il capitale per ammodernare una struttura enorme come un gasdotto, oleodotto o una rete elettrica? Solo le obbligazioni emesse di un Fondo MEGA, quale è Marguerite.
E’ certo, e ne abbiamo parlato molte volte, che i problemi sono tanti, ma “ricerca” e “formazione”, gli altri due pilastri del futuro nel mondo globalizzato, possono velocizzare i rispettivi risultati soprattutto grazie alla rapida realizzazione della rete virtuale e non virtuale che realizza la comprensione del futuro.
Cioè la circolazione di tutto ciò che è prezioso per la vita e lo sviluppo delle famiglie europee: ricerca e formazione, nei settori chiave del nostro Paese, che sono tra l’altro di meno, oggi, rispetto a cinquant’anni fa, quindi più gestibili apparentemente, come il turismo nella cultura e territorio dell’Italia, l’agricoltura di qualità, luce, gas, acqua, sistemi per la comunicazione e la telefonia, reti via etere e via satellite.
Perché non realizzare progetti comuni con i Paesi in via di Sviluppo? Tanto prima o poi con le lentezze del nostro sistema-paese verremo sempre più facilmente superati, salvo scossoni di programmazione strategica del mondo politico sia nazionale che regionale. I miracoli possono sempre accadere.
Tanto vale guardare in faccia la realtà ed usare la globalizzazione, ovvero quella cassetta degli attrezzi che è la globalizzazione, nella quale chi sa fare trova qualcosa da usare. E se ci riescono gli altri, è certo che ci possiamo riuscire anche noi.
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