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UN FONDO D’INVESTIMENTO PER IL MEDITERRANEO
Analisi del confronto tra l’Africa di oggi e la Cina di ieri

di Claudio F. Fava

Nel Settembre 2005, pubblicato sul N°51 del mensile SPECCHIO ECONOMICO, unico cult-magazine economico non milanese, scrivevo un approfondimento su come potesse l’Italia in stallo (già allora), riprendersi.
Il titolo era “MEDITERRANEO, UN MERCATO ALTERNATIVO ALLA CINA”.
Poi alla presentazione del libro sulla strategia energetica, ascolto Giancarlo Elia Valori e Tarak Ben Ammar, ormai siamo nel 2011, sui problemi di strategia energetica e Mediterraneo e vedo che anche Valori accosta in alcune valutazioni, CINA e MEDITERRANEO, diverse nella natura, ma collegate .
Vado a Ginevra al Convegno Internazionale sull’Energia, ed ascolto le complicità incisive sui prezzi dell’ OPEC relative alle problematiche CINA e MEDITERRANEO.
Vuoi vedere che l’Italia, o meglio quella classe dirigente illuminata, che può abitare nella politica o nell’impresa, nelle istituzioni o nell’Università, è in grado di cogliere un lampo di segnale strategico per indirizzare la propria economia verso una nuova economia del Mediterraneo?
Innanzitutto vediamo le similitudini della Cina di ieri, degli anni ’80 e l’Africa di oggi, con il proprio Grande Confine sul Mediterraneo:
1. diseguaglianze sociali provenienti da dittature;
2. mano d’opera a basso costo;
3. grandi risorse naturali non sfruttate;
4. oltre un miliardo di abitanti;
5. grande livello di corruzione;
6. mancanza di certezza legislativa;
7. grande emigrazione nei paesi OPEC;
8. assenza di infrastrutture;
9. scarsità di energia;
10. PIL basso ma in crescita;
11. grande resistenza nei momenti difficili.

Cosa è successo alla Cina che potrebbe succedere in Africa?
Innanzitutto l’ingresso nel WTO dopo altre 15 anni di trattative (non dimentichiamo la lotta dei dazi in Italia contro i tessuti Cinesi, terminata pochi anni fa), da parte della Cina così come, mutuandola soprattutto dalla legislazione Tedesca, la raccolta delle regole del “Catalogue for the Guidance of Foreign Investment Industries” del 1995 e recentemente rinnovato nel 2007 con i principi legislativi ai quali si devono attenere le imprese internazionali cinesi e le imprese o joint-ventures straniere in Cina, cosa che prima non esisteva.
Questo perché innanzitutto lo sviluppo di internet ha generato in Cina milioni di piccole imprese a basso costo che sono state assaltate da milioni di pseudo- imprenditori italiani cercopitechi, che si sono precipitati a comprare prodotti un po’ più scarsi, a prezzi stracciati dove la schiavitù sostitutiva il sindacato sino al 2004-2005, senza investire e scommettere sulla crescita del mercato cinese. Quindi sbagliando.
Contemporaneamente ciò ha provocato l’innalzamento del reddito medio cinese creando, cosa impensabile in Cina solo 30 anni fa, una nuova categoria: la borghesia, che genera la piattaforma sociale per i ricchi e benestanti, che quindi possono “impossessarsi” di ciò che hanno i cittadini dei paesi OPEC, in termini di case, macchine, vestiti, gioielli, gusti, vizi, tecnologia e futilità consumistiche, che comunque fanno mercato.
Le statistiche dicono che nel 2020 ci saranno in Cina 300 milioni di middle-class people: addirittura un mercato più grande di quello del Commonwealth nel periodo d’oro dell’Inghilterra!
Africa. Ovvero Mediterraneo settentrionale, quindi Africa. Con le stesse similitudini di cui sopra ma con un vantaggio in più, almeno per l’Europa: è più vicina. Oltretutto è ricca di risorse, nonostante il monopolio delle trading mondiali della frutta e di alcune materie prime quali nichel, bauxite, cadmio, diamanti, gas, petrolio, rame, cobalto, cromo. E' assolutamente ricca di acqua, vegetazione e mano d’opera low-cost, per ora distribuita in maniera disomogenea.

Qual’ è il filo conduttore che unisce la Cina di ieri con il Mediterraneo africano di oggi? Strategicamente lo sviluppo, operativamente la politica. Si, proprio la politica, perché le varie difficoltà interne, maturate negli sconvolgimenti in Libia, Egitto, Tunisia e Siria principalmente, non sono state di natura religiosa, ma di discriminazione sociale e possono essere superate con l’intervento di un’Europa coesa nella volontà di coltivare i rapporti con il mondo islamico moderato, e con i nuovi giovani emarginati dalle attività di sviluppo, monopolizzate queste ultime dai governanti-pseudomonarchi che hanno pensato di arricchirsi, senza considerare le aspettative della propria gente.

E cosa può scaturire ad una seria e diffusa politica di promozione di joint-ventures, se non creare le condizioni per aiutare le popolazioni africane che non sanno come fare per migliorare il proprio status sociale ed economico, per mancanza di cultura e tecnologia?
Penso seriamente che, mentre da un lato dobbiamo tutti insieme continuare il percorso di costruzione dell’Europa, soprattutto con le infrastrutture europee, come ho più volte detto e scritto, (Fondo Marguerite), dall’altro occorre che il partenariato globale euromediterraneo, promosso e mai definitivamente attuato dalla Conferenza di Barcellona del 1995, pianifichi una seria politica di cooperazione, non solo di grandi imprese, ma di piccole e medie aziende europee, snelle e reattive per definizione, che realizzino imprese di produzione e scambi commerciali locali in tutte le nazioni africane possibili, forti di uno strumento finanziario-legislativo che costringa i Paesi africani a rispettare le regole internazionali, senza le quali non c’è credibilità e quindi certezza negli investimenti.
Come era tra gli obiettivi della Banca del Mediterraneo, mai attivata.
Le aree di intervento fondamentali per l’interscambio economico, supportato da strutture finanziarie Europee verso i paesi africani, contrariamente a ciò che viene fatto dalle grandi imprese Cinesi, sono i programmi di pianificazione agricola ed idrica, lo sviluppo delle infrastrutture e l’autosufficienza energetica locale, basata non solo sulle risorse fossili, ma anche sulla geotermia e sulla Green Economy in generale.
Naturalmente, qualsiasi attività di crescita non può prescindere da intensi programmi di formazione, che debbono consentire ai giovani lavoratori africani di acquisire, nel tempo, quella disciplina professionale che li metterà in condizione di far parte del processo di sviluppo del proprio Paese, nell’era della globalizzazione.
La dimensione crescente dell’energia economica provocata da business e tecnologia, servirà a creare un nuovo mercato che, qualora non venisse affiancato dai paesi europei, anziché un’opportunità, diventerebbe un ulteriore elemento destabilizzante per gli equilibri che governano il PIL dei paesi OCSE: domanda interna e quindi occupazione, competitività e quindi bilancia export.
Se l’economia africana crescerà non dall’alto, ma dalla base della popolazione, con la formazione professionale e con il miglioramento della qualità del livello di vita, allora il Mediterraneo, questo nuovo Continente, avrà svolto un ruolo fondamentale per le nuove generazioni sia europee che africane.

Qual’ è lo strumento più idoneo per consentire la canalizzazione ed il controllo delle iniziative finanziate dai singoli Paesi Europei o dell’Europa in generale, in Africa?
Un Fondo. Un Fondo che funzioni come una Banca specializzata. Un Fondo che utilizzi la rete di banche esistenti nei vari Paesi Africani come infrastrutture per le iniziative di sviluppo.
Utilizzando uno degli strumenti della “cassetta degli attrezzi” che è la globalizzazione, conviene delocalizzare le attività di analisi, il reporting e l’erogazione finanziaria, nel tessuto bancario locale che, come se fosse un contratto di franchising da parte di un brand, gestisca le iniziative delle imprese italiane ed europee nei paesi Africani, secondo precise direttive.
Conseguentemente si renderanno disponibili migliaia di sportelli esistenti sul territorio di Banche-Agenti convenzionate, che costituiranno l’infrastruttura finanziaria che aiuterà le joint-ventures, le partecipazioni semplici, le New-co o i consorzi. Naturalmente la tecnologia sarà prevalentemente OCSE e la mano d’opera sarà prevalentemente Africana.
Questo meccanismo di iniziative imprenditoriali operativo a 360 gradi, contribuirà a sostituire la mancanza di normativa in alcune aree interessanti per l’investimento, ma demotivanti per la scarsa affidabilità legislativa.
La Convenzione di Lomè, l’omologa della CEE per l’Africa, potrebbe essere parallelamente coinvolta nell’attività di omogeneizzazione legislativa, finalizzata a questa tipologia di investimento per lo sviluppo.

A chi l’iniziativa?
Così come il Fondo Marguerite, ovvero il fondo dei fondi per le infrastrutture Europee con sede a Parigi, è stato costituito da alcuni Ministri dell’Economia, Italia in primis, anche per questa Organizzazione dello sviluppo tra le Nazioni africane ed i Paesi che s’affacciano sul Mediterraneo, potrebbe essere costituito un Fondo per l’integrazione delle culture e dei mercati del Mediterraneo.

   
  Settembre 2011